La grande bellezza: sceneggiatura

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Ho appena concluso la lettura della sceneggiatura de’ La grande bellezza di Paolo Sorrentino.

Ho amato il film particolarmente, anche se mi aveva lasciato con qualche punto oscuro che solo le parole possono chiarificare.

La lettura di questo libro mi ha permesso di apprezzare ancora di più il film e il concetto di bellezza che la macchina da presa cerca di concretizzare. In passato mi sono approcciata a meravigliosi testi teatrali e questa è stata la prima volta che tocco con mano la sceneggiatura di un film. Devo dire che ho trovato questo libro estremamente godibile per la linearità mista alla ricercatezza dei dettagli. Il testo è di base descrittivo, diviso in scene di piccola/media lunghezza che conducono il lettore in una Roma che abbraccia squallore e bellezza con un’affascinante dissonanza. Un po’ come lo stesso protagonista, Jep Gambardella, che pare reincarnare ambedue gli aspetti. L’arte assume un ruolo fondamentale nell’intera opera: l’arte è uno degli aspetti che donano a Roma un fascino e una bellezza singolare. Il concetto di arte non si estende ai noti fenomeni da baraccone che compaiono nel corso della narrazione, come la bambina-artista, costretta dai genitori ad allestire spettacoli di virtuosismo che non fanno altro che deturparle l’infanzia. Gli spettatori sembrano elevare il proprio spirito man mano che vedono l’opera plasmarsi ma che si rivelano indifferenti alla sofferenza evidente della bambina. A questa scena si contrappongono le successive che descrivono invece della reale bellezza artistica di Roma.

Chiave dell’opera è la bellezza, o meglio, la ricerca della stessa che impedisce a Jep di continuare a scrivere. La bellezza viene considerata distante dal reale, un’utopia che però alberga sotto gli occhi del nostro protagonista che si è lasciato cullare dal vuoto chiacchiericcio che si alterna alla vita e alla sua incostante bellezza.

Andreanahood

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